Rosso corallo: storia, leggenda, simbologia

Fin dalle epoche più remote l’uomo ha subito il fascino del corallo, associandolo – verosimilmente a causa del suo colore rosso – al sangue, e dunque alla vita stessa.

Storia, leggenda, simbologia
Già nel periodo Neolitico il corallo veniva impiegato come amuleto, come dimostrerebbero alcuni frammenti rinvenuti in antichissimi luoghi di sepoltura; nel corso del tempo, tutte le civiltà antiche attribuirono a questo dono del mare poteri magici e terapeutici, utilizzandolo più a scopi farmacologici e scaramantici che ornamentali. Nell’Antico Egitto, scarabei e amuleti di corallo proteggevano il defunto nella sua nuova vita, mentre polvere di corallo veniva sparsa sui campi per propiziare i raccolti. Presso i Greci era noto come medicinale e i Romani lo consideravano efficace sia per la cura di diverse malattie che per la protezione dei neonati; nei gioielli, tuttavia, il corallo era poco utilizzato poiché si dava la preferenza alle perle.
Nella simbologia cristiana, il corallo rappresentava il sangue di Cristo, la sua Passione e Resurrezione, e dunque la sua doppia natura, umana e divina. Già a partire dal XV secolo lo troviamo incastonato nei reliquiari e nei quadri a soggetto religioso, o riprodotto nella pittura sacra. Poiché, secondo le credenze tramandate nei secoli, il suo potere scaramantico teneva lontani gli influssi maligni, le malattie e i dolori della dentizione, i monili di corallo divennero dei potenti amuleti con cui proteggere i bambini. Ciò spiega perché numerosi dipinti rinascimentali rappresentino putti e infanti che indossano collane composte da sferette di corallo e un rametto per ciondolo, come quella del Bambin Gesù in grembo alla Madonna, nella celebre pala d’altare di Piero della Francesca conservata alla Pinacoteca di Brera a Milano. Un altro esempio illustre si trova al Museo Poldi Pezzoli, nell’opera quattrocentesca “ La Musa Tersicore” di Cosmè Tura, dove i tre putti danzanti ai piedi della figura femminile portano al collo la collana-amuleto. Per secoli e secoli, quindi, il corallo è stato riconosciuto come rimedio efficace contro i più diversi incidenti e patologie: dalle coliche alla sterilità, dalle pestilenze ai morsi di vipera. Ancora oggi si attribuisce al tradizionale corno di corallo napoletano il potere di allontanare il malocchio e la sfortuna.
Un alone di mistero ha sempre circondato il corallo che, secondo una remota leggenda, avrebbe avuto origine dal sangue della Gorgone, a cui Perseo aveva reciso la testa. Non vi sono certezze neppure sull’etimologia del nome, che secondo alcuni deriverebbe dal greco koraillon, “scheletro duro”, secondo altri dall’arabo garal o dall’ebraico goral, il nome delle pietre utilizzate per gli oracoli in diverse zone del Mediterraneo e del Medio Oriente, tra le quali figuravano appunto i coralli, all’epoca considerati minerali. Incerta, infatti, è sempre stata anche la classificazione di questa meravigliosa creatura dei mari, che ha dato origine nel corso dei secoli ad accesi dibattiti tra quanti la ritenevano un minerale e quanti invece, a partire da Plinio il Vecchio, un vegetale. La corretta classificazione del corallo come appartenente al regno animale viene correntemente attribuita al medico marsigliese Andrea Peyssonel, vissuto nel Settecento, anche se, come ricorda Basilio Liverino nel suo documentatissimo volume sul corallo, alle stesse conclusioni era giunto un secolo prima il napoletano Filippo Finella, “alchimista e astrologo”. Ma fu Henry Lacaze-Duthiers, nel 1864, a porre fine a qualsiasi dubbio con la sua monumentale opera “L’histoire naturelle du corail”.
In epoca antica, il corallo veniva spezzettato, arrotondato e forato con tecniche rudimentali per farne bracciali, collane, amuleti. I Romani furono i primi a praticare la tecnica dell’incisione, realizzando piccole sculture e opere d’arte, ma per moltissimo tempo la lavorazione del corallo in gioielleria si è concretizzata, sostanzialmente, nella produzione, non sempre raffinatissima, di olivette e grani, detti “paternostri” perché venivano utilizzati anche per la produzione di rosari.
Nel Cinquecento e Seicento, a Trapani si diffuse una vera e propria lavorazione artistica di questo materiale: la città divenne così l’indiscussa “capitale” del corallo grazie ai suoi maestri “curaddari”. Elementi in corallo inciso a bulino entrarono a far parte di arredi sacri e domestici, ed ebbe inizio una vasta produzione di vassoi, reliquiari, presepi, sculture.
L’Ottocento è il secolo d’oro della produzione di Torre del Greco: accanto ai manufatti incisi si sviluppa una vasta produzione di gioielleria, soprattutto di splendide parure, ornamenti per capelli, collane, spesso a motivi floreali (petali e fogliette potevano essere ricavati anche dagli scarti della lavorazione e dai pezzetti più piccoli di corallo!).
Nel Novecento, infine, il corallo entra a far parte a pieno titolo della grande gioiellieria: splendidamente abbinato al platino e all’onice nei geometrici gioielli Art Déco, è reso famoso dalle grandi Maison internazionali, prime fra tutte Cartier, Boucheron, Van Cleef & Arpels.

La pesca
I principali luoghi di pesca del corallo rosso sono il Mar Mediterraneo, l’Oceano Pacifico e il Mar del Giappone. Nel Mediterraneo, la pesca “a strascico” del corallo era praticata già dai Greci e dai Romani, i quali, secondo Plinio il Vecchio, lo rivendevano in India. Nel Mare Nostrum i principali luoghi di raccolta e di lavorazione si trovavano lungo le coste di Sicilia (Sciacca, Trapani), Sardegna (Alghero), Golfo di Napoli (Torre del Greco), Calabria, Corsica, Spagna e Africa (per secoli, a partire dalle Crociate, l’Italia ha conteso a Spagnoli, Francesi e, in epoca più recente, agli Inglesi, la pesca lungo le coste africane). A Torre del Greco, in particolare, la pesca e la lavorazione del corallo rappresentano una tradizione plurisecolare, iniziata addirittura in epoca Medievale.
Nei primi del Novecento, i torresi cominciarono ad approvvigionarsi in Giappone, soprattutto della varietà “pelle d’angelo”, di colore rosa pallido, con viaggi per l’epoca davvero pionieristici. Le tradizionali barche dedicate alla pesca del corallo si chiamavano coralline ed erano dotate di un attrezzo inventato dagli Arabi nel X secolo, detto “ingegno”, formato da una croce di legno a bracci uguali che, appesantita da zavorre e munita di reti di canapa, strappava i coralli ancorati sul fondo. Fino a qualche decennio fa, la pesca si è svolta sostanzialmente in questa identica maniera, fatta salva un’inevitabile evoluzione nei materiali. Oggi, questo tipo di pesca è vietato in Italia, in quanto sradica interi ceppi di corallo devastando i fondali: il corallo può essere raccolto solo da corallari subacquei, muniti di apposita licenza.

Il corallo sardo
Il mare che circonda la Sardegna è riuscito a preservare nei secoli tradizioni e costumi dell’isola. Tra questi, l’uso del corallo, “l’oro rosso”, grande ricchezza del suo mare e protagonista di molti suoi gioielli sin da tempi antichissimi. Furono i Fenici a introdurne l’uso, insieme a quello dei metalli preziosi e delle pietre ornamentali; all’epoca, infatti, la popolazione sarda viveva principalmente all’interno dell’isola e apprese proprio dai Fenici lo sfruttamento delle miniere di piombo, argento e ferro, la produzione del sale, le tecniche della pesca in generale e del corallo in particolare. Il corallo sardo appartiene alla specie Corallium Rubrum ed è molto pregiato per quantità e qualità, grazie al suo colore rosso cupo, rosso vivo e, più raramente, rosa pallido. Il corallo sardo è presente soprattutto lungo le coste occidentali e settentrionali dell’isola, nell’arco di un territorio non a caso chiamato la “Riviera del Corallo”, con capitale Alghero che reca, nel suo stemma, un ramo di corallo rosso su una base di roccia. Lavorato da artigiani locali fino ai giorni nostri, il corallo è un materiale sempre più difficile da trovare, a causa del depauperamento del mare, tanto è vero che la pesca viene ormai rigidamente regolamentata dalla Regione Sardegna.
Spille, orecchini e collane erano e sono tra i gioielli più usati dalle donne sarde nell’abbigliamento tradizionale: le spille, parte integrante dell’abito, servono a chiudere le camicie e a fissare lo scialle, mentre per fermare il tipico copricapo di stoffa si usa uno spillone con capocchia di corallo, madreperla o lavorata a filigrana.
Altra variante importante sono gli orecchini “a grappolo d’uva”, con perline di corallo e d’oro forate e unite tra loro. A seconda della provenienza geografica, la collana presenta forme e nomi diversi: nella versione più comune, è costituita da chicchi o granelli, detti vaghi, infilati in un cordoncino. Nel Logudoro, vicino a Cagliari, la collana si compone di vaghi e barilotti in corallo rosso, liscio o sfaccettato; in provincia di Nuoro, a Oliena, la collana in fili di vaghi in corallo rosso e d’oro viene chiamata “gutturada”; a Orosei, “cara e coraddu” è il medaglione con incastonato un cammeo di corallo, portato al collo con un nastro di velluto nero. Nel Campidanese e nella zona della Trexenta, a sud dell’isola, le collane con coralli vengono chiamate, rispettivamente, “kannak-ka” e “cannaca de coraddu”.
Ornamento o amuleto, il corallo ha accompagnato la storia e l’economia di molti popoli che hanno vissuto e vivono sulle coste e nelle isole del Mediterraneo: un miracolo della natura che ancora oggi ci restituisce, attraverso gioielli unici e preziosi, tutta la sua bellezza.

“Gli orecchini sono solitamente formati da un pezzo di corallo lavorato a goccia e circondato da una fascia d’oro, oppure da un pendente costituito da un cammeo di corallo raffigurante un viso.”

Agli inizi del ‘900 alcuni “pionieri” di Torre del Greco diedero vita alla prima colonia di approvvigionamento di corallo in Giappone. Da sinistra, nella foto: Luigi Gentile, Aniello Onorato, Antonio Borrelli e Michele Vitiello (zio di Alfonso Vitiello, titolare di D’Elia Company Group). Al centro, Kamei San, pescatore di corallo alle loro dipendenze.

Ramo di corallo. Malgrado le apparenze, che trassero in inganno anche Plinio il Vecchio, il corallo non appartiene al regno vegetale ma a quello animale, essendo costituito dai resti scheletrici di creature marine.

Collana e bracciale in corallo di Sciacca. Modello brevettato da Abner Lombardi nel 1943. Torre del Greco. Collezione Bianca Lombardi de Vivo.

Due coppie di orecchini a mandorla, una con pendente “a grappolo d’uva”, l’altra con pendente “a goccia” e piccolo cammeo raffigurante un viso. Sardegna, metà XIX secolo. (Immagini tratte dal volume “Gioielli” edito da Ilisso). Collezione privata.

Bracciale in stile naturalistico, secondo i dettami del Romanticismo in voga nel XIX secolo. Ogni elemento veniva lavorato separatamente e fissato a un’intelaiatura d’oro. Ciò consentiva di sfruttare anche i pezzi più piccoli di corallo. Collezione F.lli De Simone.

Parure in stile neo-classico, esempio di gioiello “archeologico” con motivo ad anforette e cammeo, caratteristico dei gioielli dell’antica Roma. Napoli, XIX secolo. Corallo Sardegna.

Elegante esempio di bracciale del XIX secolo con lavorazione a motivi floreali, caratteristica delle manifatture di Torre del Greco.
Collezione Basilio Liverino.

Parure composta da bracciale, orecchini e spilla, in stile naturalistico. Torre del Greco, seconda metà del XIX secolo. Collezione F.lli De Simone.

Articolo a cura di Marina Morini e Antonella Garello

Testo e foto sono tratti dal libro dell’Antica Orologeria Candido Operti

Racconti Preziosi 2010