Il cronografo

Un secolo “lunghissimo”, il diciannovesimo, che dall’ascesa di Napoleone – sarebbe meglio dire dalla Rivoluzione francese – arriva a ridosso della Prima guerra mondiale, lasciando finalmente il passo al secolo “breve”, secondo la celebre definizione dello storico Hobsbawm.

 

Nel campo della gioielleria, tutto l’Ottocento è caratterizzato, più che da vere e proprie novità, dal continuo riproporsi e sovrapporsi di stili e tecniche del passato, seppure interpretati alla luce degli avvenimenti contemporanei.
I gioielli praticamente scompaiono negli anni della Rivoluzione francese – anni in cui la prudenza suggerisce di occultare qualsiasi lusso e in cui si arriva a fabbricare piccole ghigliottine in argento o a cingersi il collo di nastrini rossi, nell’esaltazione delle teste mozzate – per ricomparire in tutto il loro splendore con l’avvento di Napoleone.
Il futuro imperatore di Francia ama il lusso e i gioielli, e non è certo da meno la moglie, Giuseppina Beauharnais, che detterà le leggi di una nuova, sfarzosa moda di corte. Napoleone si affretta a recuperare quanto resta dei gioielli della Corona, andati in parte distrutti e in parte trafugati durante la Rivoluzione, e li fa riadattare per la moglie da grandi gioiellieri come Nitot.
Nel ricordo e nell’emulazione della Roma imperiale, torna, rivisitata, la gioielleria romana, con splendide tiare di diamanti e pietre preziose, corone di alloro realizzate con foglie d’oro e diamanti, anelli e bracciali, questi ultimi spesso portati in coppia, uno per braccio.
Alla cerimonia dell’incoronazione – immortalata nel celebre dipinto di Jacques-Louis David, oggi conservato al Louvre – si manifesta il nuovo stile imposto dai sovrani. Le tiare, tra i gioielli più in voga, si accompagnano spesso a parure, in uno splendore consono alla grandezza della corte francese.
Le campagne napoleoniche d’Italia e d’Egitto contribuiscono grandemente a riportare in auge gli echi della gioielleria romana, greca ed egizia, nell’ambito di quel generale ritorno alle epoche passate tipico di quel periodo. Ritroviamo questi echi nelle decorazioni a mosaico realizzate con piccole tessere in vetro colorato, perfette per comporre collane e bracciali, nelle gemme intagliate e nei cammei, molto amati da Napoleone, e nella gran quantità di gioielli in stile egizio che “invade” la corte.
A partire dal 1814, con la Restaurazione, la nobiltà torna al potere, ma impoverita. Per qualche anno, i diamanti e le gemme preziose saranno sostituiti da pietre di colore più economiche, come i topazi o le turchesi, e per identiche motivazioni tornerà di moda la filigrana, che permette di realizzare un certo numero di gioielli con una quantità di oro limitata. Del resto la filigrana, anche questa una ripresa dal passato, si inserisce perfettamente nel filone della gioielleria “archeologica”, che diventa di moda in seguito alle grandi scoperte avvenute in quel periodo – in primis Ercolano, Pompei e le tombe etrusche nel Lazio – e fa scoppiare una vera e propria mania per i gioielli realizzati secondo le tecniche e i motivi delle antiche civiltà.
In Italia, il gioielliere romano Fortunato Pio Castellani riesce a produrre gioielli praticamente identici agli originali romani, greci ed etruschi, utilizzando le medesime antiche tecniche della filigrana, della granulazione, del micromosaico, della glittica: una produzione che sarà portata avanti dai figli ed “esportata” anche a Parigi, dove Alessandro Castellani aprirà con successo una bottega. Il gioiello di antica memoria gode di immensa fortuna anche a Londra, grazie alle splendide creazioni in stile neo-rinascimentale dell’orafo napoletano Carlo Giuliano.
A inizio secolo, del resto, Londra detta per un breve periodo le leggi di una particolare moda maschile: Lord Brummel (“beau Brummel”) dà inizio a quello che sarà definito “dandysmo”, più che una moda uno stile di vita, in cui l’abbigliamento discreto e al tempo stesso ricercatissimo assurge a vera opera d’arte, alla cui cura il “dandy” dedica ore intere della propria giornata. Compaiono preziosi bottoni e spilloni, in metallo e gemme, e raffinati accessori maschili come i bastoni da passeggio ingemmati. In Francia, tra i tanti, non sfugge alla moda dei preziosi “per lui” neppure il grande Balzac, che ama sfoggiare anelli di grandi dimensioni.
Verso gli anni Trenta dell’Ottocento, col ritorno di una decisa prosperità, tornano in auge in Francia i gioielli preziosi, spesso realizzati con vere e proprie “cascate di diamanti”. Questi gioielli, ispirati a uno stile naturalistico che vede tra i motivi privilegiati bouquet fioriti, steli, foglie, rami e uccellini, si diffondono in tutta Europa e si esprimono in tutte le tipologie: collier, bracciali, tiare, spille.
Tra i monili più significativi del periodo va ricordata l’aigrette: questo prezioso ornamento per il capo, in oro e diamanti, riproduce un ciuffo di piume; spesso, grazie alla montatura “en tremblant”, i diamanti si muovono, seguendo i movimenti di chi li indossa. Vi sono poi le lunghe catene, portate al collo o in vita – magari a reggere l’orologio – realizzate secondo gli stili più diversi: maglie semplici oppure alternate a gemme o a tasselli che riproducono scene classicheggianti, in smalto o micromosaico.
Dopo la rivoluzione del 1848, la situazione politica francese conosce un periodo di relativa tranquillità con Napoleone III, eletto Imperatore nel 1852. Si vanno pertanto ristabilendo le consuetudini della vita di corte, con un rinnovato sviluppo della gioielleria. Ciò avviene anche sotto la spinta dell’imperatrice Eugenia, che nutre una particolare passione per le perle e i diamanti, in particolare per i modelli del XVIII secolo, e che per questo farà disfare e ricomporre tutti i grandi gioielli della Corona nello stile dei tempi di Maria Antonietta.
Anche il Romanticismo, movimento culturale che nasce alla fine del Settecento in Germania e Inghilterra – diffondendosi poi in tutta Europa per buona parte dell’Ottocento – non manca di influenzare motivi e stili della gioielleria. In Inghilterra, in particolare, i romanzi storici di Walter Scott e le opere di lord Byron vanno incontro a un immenso successo e contribuiscono alla diffusione di uno stile goticheggiante, con echi medievali, che in gioielleria si traducono con l’utilizzo di pietre cabochon, smalti e motivi quali la spada, dame e cavalieri, scene dalle vite dei santi, il quadrifoglio, oppure motivi architettonici come l’arco ogivale, ripreso dalle cattedrali gotiche.
Sono molto apprezzati anche i monili, in particolare anelli e bracciali, che esprimono sentimenti d’amore e d’amicizia attraverso l’uso di parole o con il linguaggio dei fiori, secondo il quale a ogni fiore corrisponde un preciso messaggio; godranno inoltre di grande popolarità, fino alla fine del secolo, i motivi sentimentali del nodo e del fiocco, e quelli della croce, dell’ancora e del cuore, a simboleggiare la fede, la speranza, la carità, concetti attualizzati ai giorni nostri nel ciondolo beneaugurante di un noto brand.
L’anno 1861 segna in Inghilterra l’inizio della vedovanza della regina Vittoria. Alla morte del marito, il principe Alberto, la sovrana comincia a indossare l’abito da lutto che porterà poi per il resto della vita, abbinandolo a collane in giaietto o perle: questi gioielli “da lutto” si diffondono rapidamente in tutto il Paese, con diverse varianti che a volte sconfinano nel macabro. Anelli, medaglioni, pendenti e bracciali presentano piccole cavità atte a contenere memorie di una persona cara scomparsa, per lo più ciocche di capelli. Si arriva perfino a realizzare gioielli intrecciando i capelli dei defunti!
Alle corti europee, del resto, nei periodi di lutto anche il tipo di gioielleria che può essere indossato viene regolato da codici precisi. Le perle, ad esempio, sono considerate appropriate: l’annuncio della corte viennese, per la morte del principe regnante Rudolf nel 1889, prescrive che le dame di corte indossino “seta nera, con acconciature e guarnizioni in pizzo bianco e gioielli veri, oppure abiti bianchi e grigi, con pizzo nero e gioielli neri o perle”. Per fortuna, accanto a questi severi monili, sopravvivono gioielli decisamente più gioiosi; gli orecchini, in particolare, favoriti da acconciature che vedono i capelli raccolti, sono estremamente popolari in tutte le fogge e gli stili possibili: in solo oro o con gli immancabili diamanti, con perle o gemme di colore meno impegnative.
Il benessere generato dalla Rivoluzione industriale porta a una produzione di gioielli accessibili anche alla nuova classe media, di qualità ovviamente non eccelsa ma dal costo contenuto, grazie all’avvento della galvanostegia (procedimento che permette di ricoprire i metalli con un sottilissimo strato di oro o argento) e della pressa, che consente di stampare in breve tempo e a bassi costi centinaia di modelli. Ma accanto a questa produzione di livello inferiore, non cessa certo quella di gioielleria preziosa.
I diamanti, che come abbiamo visto sono le gemme preferite dell’Ottocento, si diffondono ulteriormente negli ultimi decenni del secolo, in seguito alla scoperta dei grandi giacimenti sudafricani, e la maggiore disponibilità porta a nuove soluzioni nei tagli e nelle montature, che diventano più leggere. Resta da segnalare, in chiusura di secolo, il grande revival delle perle.
In America questa moda sarebbe stata scatenata, nel 1875, da un fatto preciso. Pare che un certo David Howell del New Jersey abbia trovato una grande perla (del peso di 20 grammi) in un piatto di molluschi, e che Charles Tiffany abbia pagato ben 1.500 dollari per acquistarla. Da quel momento le ricche americane fanno a gara per possedere perle, acquistandole alle aste o direttamente da aristocratici europei, che non possono più permettersi simili lussi.
Nel Vecchio Continente, le perle continuano a essere impiegate, naturalmente, negli orecchini e nelle collane multifilo o girocollo, ma anche nelle spille e nelle tiare, tornate di moda, a chiudere l’immaginario cerchio di quello che è stato giustamente definito “il secolo dell’eclettismo”.

“Il nome “cronografo” fu coniato, intorno al 1820, per l’invenzione di un orologiaio francese, un certo Nicolas Mathieu Rieussec: si trattava di un curioso marchingegno, dotato di un piccolo serbatoio d’inchiostro, la cui “lancetta” lasciava due segni su un quadrante di smalto bianco, uno alla partenza e uno all’arresto del meccanismo, consentendo così una misurazione abbastanza precisa, e scritta, della durata di un determinato fenomeno.”

“All’inizio del Novecento, lo sviluppo dell’orologio da polso aprì nuovi orizzonti anche in questo settore, imponendo ai costruttori nuove ricerche relativamente alla cassa e, soprattutto, ai movimenti, che dovevano essere opportunamente modificati e ridotti nelle dimensioni.”

“Dal classico cronografo “a due contatori” degli anni trenta e quaranta, si è giunti al moderno “tre contatori” con la semplice aggiunta di un contatore delle ore.”

Omega ha dotato lo Speedmaster “Broad Arrow” di un esclusivo movimento cronografico con ruota a colonne. I movimenti con ruota a colonne, rari e sofisticati, sono considerati i più precisi in assoluto nel campo della cronografia. L’orologio ha ottenuto dal COSC il certificato di cronometro. La cassa è in acciaio inossidabile e sulla lunetta compare la scala tachimetrica.

Il Reverso Gran’Sport Chronographe di Jaeger-LeCoultre. Sul retro compaiono il contatore 60 secondi e il contatore 30 minuti “rétrograde”.

L’Hampton City Chrono XL di Baume & Mercier è caratterizzato da una cassa in acciaio lucido a forma di schemo-tonneau, sagomata. Il movimento è meccanico a ricarica automatica.

Baume & Mercier: Capeland S Cronografo automatico, impermeabile fino a 200 metri. Il cronografo è azionabile anche in immersione. Orologio certificato COSC.

Il Royal Oak di Audemars Piguet nella versione cronografo, con cassa in acciaio e movimento meccanico automatico.

Cartier: il Tank Americaine modello grande, in oro bianco, versione cronografo.

Due versioni del cronografo automatico, con funzione “retour en vol”, di Girard-Perregaux.

Omega Speedmaster Moonwatch, fedele riproduzione dell’orologio scelto dalla Nasa per equipaggiare gli astronauti nella storica missione lunare del 1969.

Articolo a cura di Marina Morini e Antonella Garello

Testo e foto sono tratti dal libro dell’Antica Orologeria Candido Operti

Racconti Preziosi 2008-2009

Le foto dei due dipinti che si trovano al Museo Napoleonico di Roma sono copyright del Comune di Roma, Sovraintendenza ai Beni Culturali.